COME SI È GIUNTI ALLA CHIUSURA POSITIVA DELLA FASE DIOCESANA DELLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE DI DON STURZO
Relazione di Giovanni Palladino, Segretario Generale di “Servire l’Italia”, al Convegno “Don Sturzo maestro per l’Italia di oggi e di domani” organizzato a Roma il 24 novembre 2017 dal Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo (C.I.S.S.) e dall’Istituto Luigi Sturzo.
Credo che sia significativo ricordare oggi uno degli ultimi desideri di don Sturzo: “Prego Dio che il mio grido sopravviva alla mia tomba”. Stamane il suo “grido” è risuonato alto nella Sala della Conciliazione nel Palazzo del Laterano. Un “grido” che ovviamente non era di vanità per quanto aveva fatto nella sua vita, ma per quanto aveva capito. E desiderava che le sue certezze diventassero patrimonio culturale del mondo politico ed economico.
Ora questo “grido” risuona qui nel suo Istituto, fra le antiche mura di Palazzo Baldassini, il regalo straordinario che la Fordham University di New York gli fece nel 1951 in occasione del suo 80° compleanno. È un “grido” che noi abbiamo sempre ascoltato e apprezzato. Spetta a noi, convinti sturziani, farlo ascoltare e apprezzare maggiormente in Italia e all’estero, ora che il positivo iter della sua causa di beatificazione lo rende più popolare e, direi, più necessario.
Prima di spiegare di come si è giunti alla chiusura positiva della prima fase di questa importante e storica causa, desidero chiarire come si è giunti alla sua apertura. Così capirete che definire questa causa “storica” non è eccessivo o retorico, né lo è affermare che Luigi Sturzo sia un “maestro per l’Italia di oggi e di domani”, titolo dato da Marco Vitale al suo interessante saggio pubblicato sulla rivista della Banca Popolare di Sondrio, titolo ripreso da questo Convegno. Né è eccessivo o retorico definire Sturzo “maestro di verità e di libertà”, definizione che ho scelto per il titolo del mio ultimo libro.
Desidero ringraziare Marco Vitale per la sua generosa prefazione, che si conclude con le seguenti parole: “…questo libro-documento, facendo luce su certi passaggi fondamentali della nostra storia recente, è prezioso anche per capire che fare per il futuro. Dunque questo libro è dovuto anche alla verità storica”.
La storia di questa causa di beatificazione non iniziò il 27 ottobre 1995, quando firmai - come Presidente del C.I.S.S. - il mandato postulatorio per Mons. Luigi Giuliani. Ma iniziò, idealmente, il 9 agosto 1956, quando don Sturzo scrisse a mio padre la seguente lettera: “Le sono assai grato dell’invio del Suo studio ‘Ricerca del grado di coerenza tra mezzi impiegati e fini desiderati nel governo dell’economia italiana’ e della graziosa dedica con la qualifica di economista cattolico. Ho letto le Sue pagine una ad una e le ho assaporate, gustandone la giustezza sostanziale e la chiarezza, meglio: la limpidezza di esposizione. Cose di assai raro riscontro”.
Pochi giorni dopo, mio padre - che non lo aveva mai incontrato - venne invitato da don Sturzo in Via Mondovì (oggi Via don Orione) presso il Convento delle Suore Canossiane. Iniziò da quel momento una collaborazione quasi giornaliera o, meglio, serale, perché la segretaria di Don Sturzo, Marcella de Philippis, un giorno mi ha detto: “Non ho mai avuto il piacere di conoscere suo padre, perché lui veniva sempre intorno alle 8 di sera e se ne andava verso mezzanotte”.
L’intesa fra i due fu totale, tanto che mio padre spesso diceva: “Ho passato con don Sturzo i tre anni più belli della mia vita”. Nel suo libro autobiografico scrisse: “…sin dai primi incontri con quell’eccezionale sacerdote, ebbi l’impressione che egli fosse già giunto alla meta di una totale e perfetta unione con Dio. Questa unione gli dava il carattere di profeta”.
Nel settembre del ’56, appena un mese dopo dal primo incontro, don Sturzo diede a mio padre l’incarico di Direttore Scientifico del suo Istituto. Da questa cattedra mio padre svolse - insieme a docenti scelti di persona da don Sturzo - un corso triennale post-laurea di Sociologia Storicista con l’obiettivo di contribuire a formare la futura classe dirigente del Paese. Questo era il grande obiettivo di don Sturzo per mettere a frutto lo straordinario regalo ricevuto dai gesuiti di New York e usare così nel modo migliore i fondi privati che l’Istituto riceveva regolarmente.
Ma a pag. 146 del mio libro trovate la dichiarazione di voto contrario di mio padre al programma di studio per l’anno accademico 1961-62. Un voto contrario che determinò il suo allontanamento da Palazzo Baldassini alla fine del 1961 per decisione del nuovo Consiglio di Amministrazione nominato dalla DC dopo la morte di don Sturzo. È un documento storico “drammatico”, che spiega tante cose di quanto è poi avvenuto in Italia, tante cose di cui paghiamo ancora le conseguenze negative.
Da quel momento si accentuò il vento contrario nei confronti del pensiero politico ed economico di don Sturzo, che come senatore a vita non si iscrisse al Gruppo DC, ma al Gruppo Misto per mantenere libertà di giudizio (e forse anche per essere coerente con quanto spesso sosteneva: “Io sono un sacerdote, non un politico”). A causa di questo vento contrario aumentò il dispiacere di mio padre nel vedere come tanta buona cultura (una cultura moderna, ma che aveva solide radici antiche) non venisse utilizzato per il sano sviluppo economico-sociale dell’Italia. Di qui il suo desiderio di promuovere la causa di beatificazione di don Sturzo per far capire alla Chiesa e al mondo politico ed economico di quale prezioso “tesoro” fosse portatore il grande sacerdote di Caltagirone, che tuttavia nella sua profonda umiltà era solito dire a chi lo lodava come grande uomo di pensiero e di azione: “Non è farina del mio sacco, devo tutto al Vangelo e alla Rerum novarum”.
Mio padre, tuttavia, non vide realizzato il suo grande desiderio. Trovò sempre ostacoli e impedimenti, che non gli consentivano di raggiungere l’obiettivo. Ma proprio negli ultimi mesi della sua vita incontrò la persona giusta, che sembrava disposta ad aiutarlo: Mons. Luigi Giuliani. E la sera prima della sua morte, avvenuta il 13 ottobre 1994, mi disse: “Ricordati di chiamare Mons. Giuliani e mettiti a sua disposizione”. Lo chiamai nel pomeriggio del 13 ottobre. Dispiaciuto mi disse: “…e pensare che stavo per telefonare a suo padre per dirgli che non me la sentivo di fare il postulatore della causa di beatificazione di don Sturzo, come lui tanto desiderava. Ci vediamo domani mattina al funerale”.
Il mio libro inizia con la notizia di questa sua non disponibilità, che avrebbe certamente deluso mio padre per l’ennesima volta. Ma alla fine del funerale, Mons. Giuliani mi disse che aveva cambiato idea: “Accetto di lavorare per la causa, perché non posso rifiutare una richiesta sollecitata persino in punto di morte”. Se mio padre non fosse morto il 13 ottobre 1994, 77° anniversario dell’ultima apparizione della Madonna a Fatima, di cui lui era devotissimo, forse oggi non saremmo qui…
Ero allora del tutto digiuno del pensiero sturziano. Iniziai a capire la grande importanza di questo pensiero nel correggere le bozze dell’ultimo libro scritto da mio padre, “Don Sturzo oggi”, che fu poi pubblicato nella primavera del 1995. Nel frattempo avevo conosciuto diversi amici sturziani di mio padre che stavano timidamente uscendo dalle “catacombe” in cui si erano rifugiati durante il lungo periodo del vento contrario. La DC era da poco scomparsa ed era apparsa la diaspora dei cattolici impegnati in politica, divisi tra partiti di destra e partiti di sinistra, quando invece Sturzo sosteneva che dovevano essere la destra e la sinistra a convergere verso il centro, dove si trovava il patrimonio culturale moderno e utile al Paese.
Nel giugno del 1995 fui nominato presidente del C.I.S.S. non per meriti personali, ma perché ero il figlio dell’esecutore testamentario di don Sturzo. Tuttavia come correttore di bozze avevo iniziato ad appassionarmi al pensiero sturziano, ne capivo la grande attualità e attuabilità, e iniziai a leggere i volumi della sua Opera Omnia. Trasmisi questo mio entusiasmo a Mons. Giuliani, che non aveva ancora trovato la “chiave” per aprire la porta della causa di beatificazione: perché un sacerdote, che aveva dedicato tutta la sua vita alla politica, doveva meritare di essere proclamato dapprima Servo di Dio, poi Venerabile, poi Beato e infine Santo?
La “chiave” la trovò una sera nell’interrogare una Suora Canossiana ultra novantenne, che aveva conosciuto bene don Sturzo negli anni ’50 e che si ricordava di avere ricevuto la seguente confidenza da parte dell’illustre ospite:
“Io sono un sacerdote, devo compiere il mio dovere, devo portare Dio nella politica, devo cristianizzare la politica”.
“In quel momento - ha poi scritto Mons. Giuliani - cadde ogni mia perplessità, la politica deve essere ricerca e attuazione del bene comune; la politica, di cui si dice così male, è in sé un dovere civico, un atto di carità verso il prossimo; la politica è carità. Missione del prete, dunque, è anche quella di educatore morale della vita pubblica”.
E nel libello scritto al Card. Camillo Ruini (riportato a pag. 59 del mio libro) per chiedere l’apertura ufficiale della causa, Mons. Giuliani rilevò che “una tale causa sembra quanto mai opportuna sia per l’onore che ne deriverebbe al sacerdozio cattolico e alla Chiesa, sia anche per il bene che ne trarrebbe la società intera per l’attualità del messaggio di don Luigi Sturzo, soprattutto nelle peculiari presenti circostanze di grande confusione socio-politica che vi regna sovrana. Egli, infatti, come ebbe a scrivere Jean Maritain, continua a mostrarci ‘come sia possibile un’azione politica autenticamente cristiana’ e ci insegna a intendere e a vivere la politica come ‘seria ricerca e organica attuazione del bene comune’, come ‘esigenza e urgenza d’amore del prossimo’”.
Al tempo dell’invio del libello eravamo nel luglio del 1997, ma il postulatore era già al lavoro secondo la regola del “ne pereant probationes”, che consente l’interrogatorio dei testimoni anche prima dell’apertura ufficiale del processo per non correre il rischio che nel frattempo i testimoni periscano. Furono così ascoltati da Mons. Francesco Maria Tasciotti, Giudice Istruttore del Tribunale del Vicariato di Roma, testimoni preziosi come il primo Presidente della Regione Siciliana, Giuseppe Alessi, all’epoca ultra novantenne, il Card. Loris Capovilla, che fu il segretario particolare di Giovanni XXIII, la moglie di Silvio Milazzo e decine di altre persone anziane, che avevano conosciuto di persona il sacerdote siciliano.
Ma la “luce verde” per l’apertura ufficiale della causa giunse dal Card. Ruini solo il 3 maggio 2002, cioè ben 7 anni dopo la nomina di Mons. Giuliani a postulatore. Nel mio libro spiego i motivi di tale ritardo, dovuti in gran parte al vento contrario che ancora spirava sulla figura di don Sturzo, ricordato più come un “polemista” e un “fustigatore” che non come un lucido promotore della buona Politica con la P maiuscola, come oggi reclama Papa Francesco. Da quel momento l’attività istruttoria di Mons. Tasciotti aumentò notevolmente, portandolo in varie città, non solo italiane, ma anche inglesi e statunitensi, là dove don Sturzo trascorse ben 22 anni in esilio.
Nel frattempo si formò la Commissione Storica, presieduta dall’attuale Arcivescovo di Monreale, Mons. Michele Pennisi, che io conobbi nel giugno del 1995, quando era Vice Parroco della Chiesa Madre di Grammichele, a pochi chilometri da Caltagirone, sua città natale. Gli chiesi aiuto per reperire testimoni utili alla causa e mi aiutò molto. Con grande piacere l’ho poi trovato in posti apicali per il buon esito della causa.
Infine il Tribunale del Vicariato nominò i Censori Teologi per l’esame di tutti gli scritti editi del Servo di Dio, lavoro che è durato diversi anni per la lettura delle migliaia di pagine che compongono la sua voluminosa Opera Omnia. Attenta lettura che ha poi prodotto il “nihil obstat” da parte dei Censori Teologi. Infatti negli scritti del Servo di Dio non è stato rilevato nulla di contrario in materia teologica e dottrinale di Santa Madre Chiesa.
Sono così passati 22 anni (lo stesso numero di anni dell’esilio) da quando il C.I.S.S. promosse la causa con la decisione di affidarne la postulazione a Mons. Giuliani. Il lavoro svolto dal Tribunale e dai due postulatori è stato enorme con l’audizione di ben 154 testimoni in Italia, Francia, Inghilterra e Stati Uniti. È stata anche notevole l’attività culturale svolta dal C.I.S.S.. Nell’Appendice del mio libro vi è una sintesi di tale lavoro di “semina” e anche di supporto alla causa, lavoro che forse non vi sarebbe stato senza l’avvio della causa. E lo stesso si può dire, forse, per tutto ciò che è avvenuto grazie all’esistenza della causa, come la celebrazione nel 2009 dell’Anno Sturziano a Caltagirone nel ricordo del 50° anniversario della morte del Servo di Dio. Anno celebrativo chiuso il 7 agosto 2010 con la presenza in Cattedrale del Card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, che nella sua omelia disse:
“Senza in alcun modo anticipare il giudizio ufficiale della Chiesa, devo confessare che la lettura della vita e degli scritti di don Sturzo ha costituito per me una piacevole sorpresa, facendomi scoprire uno straordinario ministro di Dio, che ha coniugato Vangelo e politica, traducendo il suo ministero sacerdotale in carità politica. È un vero peccato che don Sturzo resti ancora poco conosciuto in Italia, quasi confinato in una sorta di secondo esilio. La sua opera e le sue intenzioni, infatti, sarebbero ancora di grande ispirazione per tutti, soprattutto per coloro che desiderano tradurre la verità evangelica nella concretezza dell’azione politica”.
Lo stesso brano è stato citato stamane nella Sala della Conciliazione del Palazzo del Laterano nel corso della cerimonia di chiusura positiva della fase diocesana della causa, insieme ad altri brani tratti dalla magnifica prefazione scritta dal Vescovo di Acireale, Mons. Antonino Raspanti, per il “Lessico Sturziano”, un volume di ben 1.096 pagine curato da don Antonio Parisi e da Massimo Cappellano, dove ben 90 esperti del pensiero sturziano hanno spiegato – in 171 voci - il “vocabolario” di don Sturzo in ordine alfabetico, dalla voce “Ambiente” alla voce “Vocazione politica”. Un volume che dimostra quanto il Servo di Dio abbia ancora da dire ai giovani e ai meno giovani.
Ora attendiamo il giudizio finale della Congregazione per le cause dei Santi. Il mio augurio è che nel frattempo la dannosa diaspora dei cattolici impegnati in politica possa finalmente finire, con l’aiuto della splendida luce proveniente dalla Dottrina Sociale della Chiesa e dal pensiero sturziano. Sturzo ci ammoniva nel suo libro più ispirato: LA VERA VITA – SOCIOLOGIA DEL SOPRANNATURALE: “Lo spirito cristiano entri nella politica, altrimenti diverremo peggiori dei pagani”. Il grande sacerdote di Caltagirone ci ha lasciato tanti “assist”, che una nuova generazione di cattolici impegnati in politica dovrà sfruttare, dopo che la vecchia generazione, al governo per circa 50 anni, ha sprecato quei preziosi “assist” o addirittura ha fatto il contrario di ciò che Sturzo consigliava.
Il mio libro si conclude con le stesse parole del mio penultimo libro (che aveva per titolo “Governare bene sarà possibile: come passare dal populismo al popolarismo”): “È urgente recuperare il grande valore del ‘fare politica’, oggi tanto svalutato. Nel rivalutarlo ci possiamo salvare tutti”. Per rivalutarlo c’è bisogno anche del pensiero sturziano, un pensiero attuale e attuabile. Ecco perché Sturzo è tuttora un valido maestro per l’Italia di oggi e di domani.