"GRAZIE COVID-19" - INTERVENTO DI MARCO VITALE ALLA TAVOLA ROTONDA ON-LINE “OLTRE LA PANDEMIA: QUALE MONDO”
“OLTRE LA PANDEMIA: QUALE MONDO”
Intervento di Marco Vitale
GRAZIE COVID-19
“Fu chiesto ad un uomo:
“Che cosa faresti se sapessi che oggi
è l’ultimo giorno della tua vita?”
“Pianterei un albero – rispose –
Perché credo nel futuro”
(Detto ebraico e islamico)
Ricominciare a pensare
Nel corso degli ultimi 20 anni (tutti anni di crisi praticamente ininterrotte, sia pure di natura diversa) è riemerso ripetutamente un profondo pensiero di Albert Einstein sul valore positivo che le crisi possono avere per stimolarci a correggere antichi errori e cogliere nuove opportunità che la crisi dischiude. Per i pochi che non lo conoscono allego il testo. La crisi da Covid-19 ha dimostrato, con grande chiarezza, la profonda verità del pensiero di Einstein. Io, come tanti, ho pianto i cortei di morti che sfilavano nelle nostre città; ho sofferto a vedere le nostre comunità, improvvisamente, decapitate da tanti grandi vecchi che ne rappresentavano l’anima e l’intelligenza; ho pianto alcuni cari amici e parenti morti; sono stato dolorosamente stupito a vedere la crescita tumultuosa di nuovi poveri che, perso il loro lavoro, devono per vivere, rivolgersi all’assistenza sociale pubblica e privata (e fortuna che questa si è messa in moto con vigore); ho vissuto rinchiuso e impaurito nel tentativo di difendere i miei ottanta anni. Ma durante tutto questo periodo non ho mai rinunciato ad interrogarmi sulle cause e sul significato di tanta sofferenza, e su cosa di positivo poteva nascere dalla stessa. Un importante avvocato milanese, che è anche un caro amico, ha circolarizzato una sua riflessione che, in sintesi (ricordando Orazio) dice: non perdiamo tempo a filosofeggiare, adesso bisogna solo pensare a dare da mangiare a chi non ce la fa, poi penseremo ad altro. Scrive l’amico.
“Questo non è il momento di volare alto. Oggi occorre sfamare la gente. Da domani ci potremo occupare di filosofia, morale, economica”. Pur apprezzando l’alta motivazione umanitaria di questa raccomandazione, ed anche il suo spirito tipicamente meneghino, ritengo che si tratti di un approccio profondamente sbagliato. È nel mezzo delle macerie che bisogna incominciare a progettare che cosa vogliamo costruire al posto delle macerie. Per questo bisogna ricominciare a pensare e ad esercitare il coraggio della verità, quella che gli ateniesi del V secolo a.C. chiamavano “parresia”. È tra le immani distruzioni e dolori dell’ultima guerra che il grande pensiero di De Gasperi appoggiato da esperti di grande statura come Einaudi, Menichella, Vanoni, ha dato l’avvio alla ricostruzione, sia istituzionale che materiale che spirituale, mentre, al contempo si attivava per far giungere in Italia nuovi carichi di frumento per dare da mangiare agli italiani affamati. Lo stesso è avvenuto per la ricostruzione della Germania super distrutta che è iniziata con il grande pensiero di Adenauer e di Erhard. Per questo io ho apprezzato una lettera distribuita dalla Caritas Ambrosiana che pur tanto fa per dare da mangiare ai più bisognosi, ma al contempo pensa al futuro e scrive: non vogliamo ritornare ad essere come eravamo, vogliamo una città migliore. Come ho molto apprezzato la lettera ai suoi 162.000 soci di una importante banca lombarda che ha scritto: “la dura esperienza, passata e presente, ha messo e mette alla prova ciascuno di noi, rendendoci consapevoli della nostra fragilità. Dovremo ripensare il modo di vivere, accettare il cambiamento e costruire nuovi equilibri nelle relazioni umane e con l’ambiente che ci circonda; convincerci che non ci si salva da soli e che abbiamo una responsabilità verso gli altri, soprattutto verso le nuove generazioni su cui bisogna investire in cultura e formazione. Creativi come gli artigiani, dovremo forgiare percorsi nuovi e originali, gestire la complessità con l’uso paziente della tecnologia. Il tempo non sarà breve, Le criticità, tante da sembrare insormontabili, rafforzeranno l’umano ingegno, ridandoci la necessaria fiducia in un futuro senz’altro diverso, possibilmente migliore”. È in questa visione e prospettiva, in linea con il pensiero profondo di Einstein, sul valore potenzialmente positivo delle crisi, che io posso rivolgere al Covid-19 anche un ringraziamento per averci aiutato ad aprire gli occhi sulla nostra fragilità, per avere scoperchiato quelle che da oltre 30 anni io chiamo le nostre piaghe bibliche che devono essere risanate. Sono loro, le nostre piaghe bibliche, che rendono più duro l’impatto con la realtà delle varie crisi, ed ogni volta più difficile il ricupero, sia che si tratti della crisi finanziaria del 2001, o del 2007, o del 2011 o dell’attuale crisi da pandemia.
Punti cruciali
Mi concentrerò su alcuni punti cruciali sui quali l’effetto Covid-19 ci impone un brusco risveglio e ci chiama ad una sfida epocale verso noi stessi e le nostre pigrizie e viltà.
1. Ci credevamo forti e ci risvegliamo terribilmente fragili
Siamo fragili nel funzionamento delle nostre istituzioni. Siamo fragili nella selezione e formazione della nostra classe politica che proprio nell’occasione della pandemia ha mostrato tutta la sua tragica mediocrità. Siamo fragili nella nostra finanza pubblica con un debito pubblico che supera di gran lunga tutti i parametri universalmente considerati ragionevoli. È vero quello che osservano molti studiosi della materia e cioè che il nostro debito (pre Covid) è alto ma sostenibile, perché l’avanzo primario è da anni positivo, come è confermato dal fatto che il Tesoro non ha (per ora) difficoltà a rifinanziarsi sul mercato. Ma i grilli parlanti obiettavano che essere sempre così al limite non era prudente, perché non avremmo potuto resistere ad un forte shock causato da qualche imprevisto cigno nero. E qualche grillo parlante diceva: non si sa mai quando e come arriverà il cigno nero, ma attenzione, i cigni neri prima o poi arrivano sempre. Come cicale estive cantavamo felici sovrastando la flebile voce dei grilli parlanti. Ora il cigno nero è arrivato ed ha fatto emergere tutta la nostra impreparazione, imprevidenza, fragilità. Siamo fragili nella lotta contro le tre male bestie che Sturzo denunciava 60 anni fa: statalismo, partitocrazia, sperpero di denaro pubblico, nella sua ultima strenua battaglia, come i più gravi mali della nostra economia. Nonostante tante coraggiose battaglie combattute e tante vinte dalle forze dell’ordine e dalla magistratura inquirente (entrambe, con i loro eroi, pilastri civili del nostro Paese) restiamo fragili nella durissima e mai sufficiente lotta contro la malavita organizzata che sta penetrando, sempre più, nel tessuto sociale della nostra amata Lombardia. Siamo fragilissimi nella giustizia civile e, come ripetuto sino alla noia, nella filosofia e funzionamento di parti importanti delle PA che si sentono padrone del Paese e non al suo servizio. Siamo fragili nella scuola, o almeno in parte della stessa. Siamo fragili nell’occupazione soprattutto giovanile e femminile. Siamo fragilissimi nel tasso delle nascite sempre per l’antico tema dell’assenza di una politica a favore della famiglia. Ma non vorrei che pensiate che intendo parlare solo delle fragilità. Abbiamo anche punti forti importanti e ne parlerò più avanti. Qui parlo delle fragilità perché sono quelle che conoscevamo bene da molto tempo, ma tuttavia non abbiamo fatto quello che potevamo e dovevamo fare per combatterle quando eravamo in tempo, e che il Covid-19 ha semplicemente messo a nudo. Non possiamo e non dobbiamo attribuirle a lui. Anzi dobbiamo ringraziarlo per averci fatto prendere consapevolezza delle stesse.
2. Non è passato un anno da quando tutti i giornaloni in coro ripetevano: anche questa volta l’Europa non c’è! mentre pseudo economisti, emersi al seguito di politici influenti e disastrosi, spiegavano che potevamo e dovevamo uscire dall’euro e ciò avrebbe risolto tutti i nostri problemi. Questi autentici mentecatti spingevano per una Italiaexit, scimmiottando la Brexit, un’azione che se è stata dura ma comprensibile per l’Inghilterra, ma sarebbe stata una catastrofe per noi, privi del retaggio di ex grande potenza che ha l’Inghilterra. Il 15 maggio 1845, un grande lombardo, Carlo Cattaneo, iniziò la sua prima relazione nella veste di Relatore della Società d’Incoraggiamento Arti e Mestieri di Milano con queste parole: “Noi dobbiamo domandarci ogni anno quale luogo è il nostro in quella grande famiglia europea” (1). Da De Gasperi, a Einaudi a Spinelli, quanti grandi leader politici italiani hanno cercato di dare una risposa positiva alla domanda che poneva Carlo Cattaneo. E che sofferenza è stato vedere che questa grande tradizione di italiani che tanto hanno contribuito al processo di integrazione europea ed alle sue basi culturali, umiliata da dei nanerottoli (in senso intellettuale e non fisico) ignoranti e irresponsabili che però, e qui sta il problema, godevano e ancora godono di un ampio consenso elettorale. Diciamocelo chiaro: eravamo a cinque minuti dalla mezzanotte. I nanerottoli con la sponda antieuropea dell’America di Trump stavano per vincere. Poi è arrivato il Covid-19 e in pochi mesi tutto è cambiato. Il Covid 19 ci ha salvati. I nanerottoli sono stati spinti da parte dalla paura, il popolo italiano – dopo un periodo iniziale di sbandamento - ha ritrovato un’antica solidarietà, una rinnovata voglia di battersi, ha riscoperto energie e capacità di fare sorprendenti e che sono state apprezzate in Europa e oltre, sono emersi (come capita sempre dopo le grandi catastrofi, tipo guerre e pandemie) nuovi politici, come Conte, al quale dobbiamo grande riconoscenza, che ha saputo ritessere la tela che ci lega all’Europa, riconquistare per il nostro Paese, una posizione dignitosa e meritata “in quella grande famiglia europea” della quale parlava Cattaneo. Nel frattempo, il Covid-19 determinava altri potenziali mutamenti nel resto d’Europa e soprattutto in Germania. Questa grande democrazia e questa potente economia guidate da una grande donna come Frau Merkel, ha, finalmente, assunto la leadership alla quale da tempo la storia la chiamava. Si sono così messi in moto mutamenti culturali, politici, economici, operativi, coraggiosi e di grande portata che hanno dato al processo di solidarietà e integrazione europea una accelerazione potente. Per la prima volta l’Unione ha lanciato un grande piano comune di rilancio, finanziato sul mercato internazionale con emissione di titoli europei, di titoli propri, come da anni, invano, auspicavano i più lungimiranti cittadini europei. Senza l’aiuto di Covid-19 non sarebbe successo. Nel frattempo, tanti puerili pregiudizi, che stavano rinascendo tra i nostri popoli, alimentati anche dai nanerottoli ignoranti di altri paesi, non essendo certo questa una esclusiva italiana, sono stati spazzati via da una grande ventata di salubre tramontana. Grazie Covid-19. Certo tanti nuovi problemi e difficoltà, tante nuove battaglie politiche, economiche e culturali dovranno essere affrontate dalla rinnovata Europa e da tutti noi. ma, come io, sulla base di una attenta analisi dei processi di mutamento avvenuti nel resto d’Europa e soprattutto in Germania, sin dal 6 aprile 2020 (2) contro il coro dominante dei giornaloni che continuavano a ripetere: ancora una volta l’Europa non c’è, potevo scrivere: “per fortuna questa volta l’Europa c’è”. E ora noi. ricollegandoci a Carlo Cattaneo, possiamo affermare: questa volta anche l’Italia c’è, con dignità, nella “grande famiglia europea”. Ma i nanerottoli ignoranti, non dimentichiamolo, sono stati sconfitti soprattutto dal Covid-19, oltre che dalla reazione del popolo italiano, e da un gruppo ristretto di politici coraggiosi.
3. Ma come dicevamo non abbiamo solo fragilità ma anche punti di forza, i principali dei quali sono, i seguenti:
- Un’industria manifatturiera di medie dimensioni di grande capacità e produttività. Esistono stime serie che dimostrano che la produttività di questa industria media manifatturiera non è, in molti settori, inferiore a quella tedesca. E come bresciani siamo lieti che Brescia sia un pilastro di questa industria. Si tratta di una constatazione fondamentale, perché per la crescita economica la produttività se non è tutto è quasi tutto. E ciò è confortato dai risultati dell’export italiano che anche nel 2020 sono stati buoni. Ai settori tradizionali si sono aggiunti altri settori relativamente nuovi, come l’Agroalimentare, che sta diventando una forza del nostro Paese e che anche nel 2020 ha segnato risultati eccellenti nell’export. Nella primavera scorsa io mi ribellai ad una visione del tutto negativa dell’economia italiana come testimoniata da un articolo di grande vistosità sul Sole 24 ore, nel quale si parlava di un rischio di “desertificazione industriale”. Io scrissi che era da irresponsabili diffondere paure di questo tipo, che potevano essere credute solo da persone che non hanno la minima conoscenza di cosa sia l’industria manifatturiera italiana. Oggi si incomincia a capire che, con l’eccezione di pochi settori più di altri duramente colpiti sui mercati internazionali, l’industria manifatturiera italiana non ha mai mollato e anche nel periodo di blocco totale delle attività ha lavorato strenuamente per tenere testa, con coraggio e creatività, alla crisi. I dati a consuntivo del 2020 confortano ora questa visione. Oggi è, in molti casi, migliore di quello che era all’inizio della crisi per il lavoro di riorganizzazione e innovazione che le buone imprese hanno saputo svolgere. Il problema è che questa Italia innovativa e produttiva non rappresenta più del 20% del PIL. È sul resto, sull’80%, che bisogna agire e qui ritorna il peso delle piaghe bibliche che vanno finalmente affrontate portando la produttività in quei settori di questo 80% che ignorano alla radice il concetto stesso di produttività. Dovevamo e potevamo farlo da lungo tempo. Non perdiamo l’occasione che il Coronavirus ci ha spiattellato davanti a noi.
- Il secondo punto di forza della nostra economia è l’elevato risparmio delle famiglie che controbilanciano il risparmio negativo dell’amministrazione pubblica. Quando iniziammo la ricostruzione nel dopoguerra non potevamo contare su questa risorsa. La scarsità di risparmio era una delle difficoltà maggiori per l’avvio della ricostruzione. Il famoso piano Vanoni degli anni ’50 era tutto incentrato su come avviare un processo virtuoso di formazione del risparmio per mobilitare, attraverso lo stesso, le grandi energie del lavoro che restavano inattive. Oggi questa disponibilità c’è, in misura forse eccessiva, e sarà rafforzata sul fronte della finanza pubblica dal piano europeo “Next Generation Europe”. Il problema, quindi, consiste essenzialmente su come avviare nel circuito produttivo parte del risparmio privato nazionale accanto a quello che verrà finanziato dall’Unione Europea. Nel frattempo, il debito pubblico è aumentato enormemente e aumenterà ancora con i prestiti europei. Io appartengo al gruppo di quelli che pensano che sarà sicuramente necessaria una manovra di finanza pubblica straordinaria per riportare il debito pubblico entro limiti ragionevoli. Le forme tecniche di questa manovra possono essere molto diverse ma sulla sua necessità tecnica e politica, concorda un gruppo minoritario ma significativo di esperti studiosi ed operatori che ricordo nelle pagine 266 e seguenti del mio libro Al di là del Tunnel (3), nel capitolo intitolato “Il ricatto del debito pubblico e il prestito della Rinascita”. Ho parlato di ricatto perché c’è una linea di pensiero maggioritaria, che comprende la visione economica del Tesoro, della Banca d’Italia e di chi ruota intorno a questa congregazione (alla quale temo appartenga anche Draghi), che continua ad alimentare la fiaba che il riequilibrio verso parametri più accettabili del debito pubblico si realizza solo attraverso lo sviluppo del PIL. Secondo le stime del Ministero dell’Economia, anche con il Recovery Fund europeo, ci vorranno dieci anni e cioè fino al 2031 e oltre (se tutto va bene) per riportare il debito pubblico ai livelli pre-Covid cioè al 130% sul PIL, un parametro che già veniva considerato troppo elevato. Questi altri dieci anni e, forse, oltre, vissuti ancora e sempre sul ciglio del burrone è quello che io chiamo il ricatto del debito pubblico. Ed a questo ricatto io mi ribello anche a nome dei miei nipoti. Ma io non conto niente. È necessario che molti italiani si ribellino e che i nuovi politici che devono ricostruire l’Italia si rendano conto che la ricostruzione passa anche attraverso la liberazione da questo ricatto. Sappiamo bene che il debito pubblico non va né cancellato, né rimborsato e che se, tenuto nella giusta misura (= sostenibile) è una benedizione dei popoli (copyright Hamilton, primo ministro del tesoro americano, inventore del dollaro). Va solo contenuto in limiti meno esagerati e pericolosi di quelli attuali per riguadagnare un po’ di flessibilità strategica e di sviluppo, per togliere dal collo la corda del ricatto, che ci tiene esposti al rischio permanente di essere impiccati. Sappiamo anche che questa opera di contenimento non si fa dalla sera alla mattina. Essa richiede l’uso coincidente di altri strumenti, (controllo e contenimento della spesa pubblica corrente, cessione dei cespiti patrimoniali non produttivi, ripresa dello sviluppo) e richiede tempo e progettualità. Abbiamo bisogno di un piano triennale, cinquennale, decennale, una grande operazione nell’ambito della quale rientri anche l’emissione del Prestito della Rinascita. Nessuno chiede miracoli all’Italia ma chiediamo un piano ragionevole e credibile di buone regole. E i primi a chiederlo, anzi a pretenderlo, devono essere gli italiani. Per questo e per i loro figli e nipoti devono essere pronti a lottare. Basta giocare alle tre tavolette. Il ricatto del debito pubblico può fare molto più male del Covid-19.
- Il terzo punto di forza è la capacità diffusa tra la popolazione. Non mi riferisco solo alle capacità imprenditoriali ma in generale all’homo (e donne) faber italiane, nelle sue varie forme e manifestazioni, come tecnico, manager, artigiano, operaio, agricoltore. Io potrei scrivere un libro di mille pagine di storie bellissime che ho raccolto nelle mie esperienze, girando l’Italia e gran parte del mondo. Basta osservare quanti bravi manager italiani e quanti bravi ricercatori italiani hanno fatto, nelle multinazionali e nei laboratori di ricerca di grandi università internazionali, quelle brillanti carriere che il loro paese negava loro per le tante corporazioni che lo stringono. Infatti è assolutamente vero quello che disse una volta Innocenzo Cipolletta quando, come direttore generale della Confindustria, disse: gli italiani sono innovatori, l’Italia non lo è. Uno dei temi centrali della nuova Italia è di riuscire a superare questa dissociazione.
I grandi rischi
Ma corriamo anche grandi rischi che riassumo in quattro punti.
1. Usare male i fondi europei o non ottenerli. Questo rischio era alto con il governo Conte. Le bozze di piano presentate non erano adeguate, essendo frutto di un metodo inadeguato, con il rischio che non sarebbe passato facilmente a livello europeo, dove è necessario assicurare che i fondi siano ben gestiti e servano per la Next Generation. Erano liste di progetti singoli, provenienti da molte fonti, affastellati senza un pensiero, una strategia percepibile e un profilo organizzativo affidabile. Non era colpa di Conte ma di chi, avendo passato tutta la vita tra burocrazie di partito o pubbliche, non conosce neanche l’ABC di cosa sia organizzare e guidare processi operativi complessi. La situazione era così preoccupante che persino Gentiloni, commissario europeo per l’economia, che tanto e bene si è speso in supporto del governo Conte per ottenere i contributi per l’Italia e per contrastare gli atteggiamenti ostili di alcuni paesi, il 26 gennaio 2021, si è sentito in dovere di inviare all’Italia un preciso ammonimento: “L’Italia avrebbe bisogno di un governo che sappia dare qualità al Recovery”. E, nello stesso giorno del 26 gennaio 2021, sul Sole 24 Ore il Ministro italiano dell’economia Gualtieri, nel tentativo maldestro di rispondere alle giuste critiche sull’inconsistenza e insufficienza del piano governativo, rispondeva: “Calmeremo presto le lacune della governance”, che è stata l’autoconfessione più onesta e più chiara che il Governo era molto confuso su come operare. Molte voci si sono levate per lanciare l’allarme sul grande rischio che correvamo. Molte di queste erano interessate e politicamente strumentali e quindi non credibili. Ma altre erano voci indipendenti, competenti, sincere. Tra queste io voglio citarne una che proviene da un manager di lungo corso che, da decenni, ho sempre visto operare con grande competenza, integrità, indipendenza, Vito Gamberale che, proprio nello stesso giorno (26 gennaio 2021), nello stesso giornale (Il Sole 24 Ore), lanciava un articolo-allarme che riproduco qui integralmente, perché non saprei trovare parole più chiare ed incisive delle sue:
Ora, con il governo Draghi e il ristretto gruppo di manager competenti che dirigeranno, insieme a lui, in una sorta di gabinetto di crisi, l’intero Recovery Plan, il pericolo di perdere o rovinare questa grande occasione è in gran parte rimosso. Non sarà necessario creare nuove strutture o sovrastrutture per la guida del piano come da molti si è fantasticato, che farà capo direttamente al Ministro dell’economia ed al primo Ministro con tutti i suoi più diretti collaboratori, che si assumeranno così anche la piena responsabilità, come è giusto.
Credo anche che il piano di vaccinazioni troverà un ritmo ed una gestione più tranquillizzante. Per me rimane misterioso perché si è insistito ad affidare questa delicatissima e complessa operazione ad un uomo solo al comando, tra l’altro con un curriculum discutibile e totalmente privo di empatia (Arcuri) anziché affidarlo a strutture affidabili come la Protezione Civile (che, nonostante alcuni sbandamenti, resta tra le migliori del mondo) o al nostro esercito. Questi due punti cruciali sembrano dunque bene avviati senza, con questo, voler disconoscere i grandi meriti di Conte nell’ottenere la solidarietà europea, che rimangono.
2. Un grande rischio che corriamo è di adagiarci sull’illusione che questi contributi europei, ora messi in sicurezza, risolvano tutti i nostri problemi. Sarebbe un grande errore. I contributi europei saranno certo preziosi per rimettere in moto la macchina. Ma, pur nella loro entità, saranno piccola cosa a fronte delle immense necessità del sistema Italia. La partita in gioco chiama a raccolta tutte le migliori energie del Paese. La sfida si allarga a tutte le forze sociali, economiche e culturali del Paese, famiglie, imprese, associazioni, organi intermedi, tutti devono dare il meglio di sé. Le risorse pubbliche avranno ben poco effetto se non riusciranno a mobilitare anche gli investimenti e le energie dei privati. Sarebbe un errore mortale tornare ad impigrirci, pensando che tanto c’è l’Europa e Draghi che ci pensano. Il ricupero dell’Italia dipende dall’impegno di ciascuno e di tutti e non è certo esagerato dire che questo impegno non può essere inferiore a quello del dopoguerra.
3. Il terzo grande rischio è che le rendite di posizione che dominano larghi settori della nostra economia e della nostra società, con la loro grande forza economica, politica e corruttrice, riescano ad impedire le innovazioni di sistema che sono così necessarie. Questo è, oggi, forse il pericolo maggiore, considerata la debolezza strutturale e culturale del nostro povero sistema politico e del nostro basso livello civico. Sergio Fabbrini, uno dei migliori editorialisti economici del Sole 24 Ore il 7 febbraio 2021 ha scritto: “La frammentazione della politica è l’espressione del particolarismo che caratterizza da tempo la società italiana. Nel nostro Paese, non c’è un gruppo di interesse (neppure uno) che abbia uno sguardo più largo del proprio interesse. Basti ricordare l’esito degli “Stati generali dell’economia” organizzati a Villa Pamphili dal governo Conte II nel giugno dello scorso anno per “progettare il futuro”. Centinaia di associazioni che, per una settimana, si sono succedute ad avanzare richieste particolaristiche, come se l’interesse del paese emergesse dalla loro somma o aggregazione. Da non credere”.
È una visione reale. La stessa Confindustria, rappresentante del potere economico, sul giornale della quale sono state scritte queste giuste parole, io non l’ho mai vista, durante tutta la crisi, assumere una posizione costruttiva nei confronti del Governo e delle esigenze del Paese. Sempre solo pretendere, criticare, rimproverare. E mai dare, mai rinunciare a qualcosa, mai pagare qualche ticket per i propri privilegi. Anche qui, come nella politica generale, c’è una frattura tra il mondo delle imprese reali che lavorano e fanno il loro dovere con dignità in qualunque, anche dura, circostanza (e la maggioranza di loro lo ha dimostrato proprio nel corso del durissimo 2020) e la loro rappresentanza politica e burocratica che, come tutte le rappresentanze politiche e burocratiche, sono impegnate solo a difendere i propri privilegi a far sì che tutto cambi purché nulla cambi. Non è questo un male solo nostro, ma è anche di altri paesi e soprattutto degli USA attuali dove “Le troppe rendite di posizione strangolano il capitalismo USA”. Lo ha recentemente scritto Angus Deaton, premio Nobel per l’economia nel 2015, professore emerito di Economia e affari internazionali presso la Princeton School of Public and International Affairs, uno dei più profondi e liberi economisti americani, che il 2 gennaio 2021 (Il Sole 24 ore) ha scritto: “La fine del mandato del Presidente Donald Trump di certo ridurrà il capitalismo clientelare e il saccheggio del portafoglio pubblico da parte della sua famiglia e dei suoi amici. Ma non servirà ad aggiustare un sistema che non funziona. Il potenziale del capitalismo americano di aumentare l’innovazione e il benessere rimane limitato, ma attualmente i suoi difetti stanno letteralmente togliendo la vita a molti americani. I rent seeker sono, e probabilmente rimarranno, troppo potenti per il bene del Paese.” In effetti quello che più mi preoccupa del presidente Draghi è la sua forte attrazione per il mondo americano, che è, come per molti di noi, un amore giovanile per un’America che non c’è più, e che difficilmente Biden riuscirà a far rinascere. Questo intenso amore per gli USA comporta anche un atlantismo bellicoso e superato dai tempi. L’Europa deve usare le sue forze di difesa come i suoi virus e lavorare per un mondo multipolare, unica speranza di pace. Draghi si è molto abbeverato al neoliberismo dei grandi banchieri americani e questo è un pericolo grave. Ma, in Italia, ha avuto anche, da giovane, un grande maestro come il Prof. Caffè. Nelle mie preghiere serali io prego che Draghi conservi, nel suo sangue, qualche goccia degli insegnamenti del Prof. Caffè, come antidoto ai veleni del neoliberismo dei banchieri americani.
4. Il quarto ed ultimo pericolo è quello di chiedere al governo quello che questo governo e questo capo di governo non possono dare, invece di concentrarci su quello che noi, cittadini, dobbiamo fare. La sarabanda è già incominciata con manifestazioni grottesche, come quella di chiedere a un europeista di lunga lena, già governatore della Banca europea, salvatore dell’euro in uno dei momenti più drammatici per l’Italia e per l’Europa, un uomo chiamato al governo per disperazione, garante di un patto europeo che lancia un grande piano Marshall del quale l’Italia è importante beneficiario, chiedere a lui di dichiarare che l’euro è reversibile. I nanerottoli ignoranti sono ancora tra noi e sono ancora all’opera. Ma io voglio collegarmi a un intellettuale di sinistra serio, intelligente e per bene, come Marco Rovelli che ha formulato una sintesi assai efficace del nuovo governo, visto dal suo punto di vista (Manifesto 16 febbraio 2021): “La Banca sopra la Politica, il Nord sopra il Sud, i maschi sopra le donne. Questa appare, ridotta all’essenziale, la struttura architettonica del nuovo governo: una fotografia perfetta dello stato di cose esistente e delle sue inamovibili gerarchie”. Il quadro, schematico e semplicistico sin che si vuole, di Marco Rovelli è oggettivamente corretto ma non può essere preso come base per avanzare critiche, pretese, rivendicazioni e inutili piagnistei senza spiegare perché e come e con chi si è giunti a questo punto. Una politica che non sa né governare, né esprimere una classe parlamentare e di governo decente, che non sa formare le alleanze necessarie per formare un governo, non ha diritto di piangere perché arrivano i banchieri. Deve solo ringraziare la Madonna che non siano arrivati i carri armati. E a chi diamo l’Oscar per la distruzione di ogni pensiero serio di sinistra, a Veltroni con la sua corsa dietro al blairismo o allo snobismo di un D’Alema o al buonismo di un Bersani con le sue patetiche lenzuolate o al distruttivismo e affarismo di Renzi? Ed il sindacato, che è culturalmente un centinaio di anni in arretrato rispetto al sindacato tedesco, centra qualcosa in questa storia o no? E dato che Draghi, che è uno dei pochi politici italiani rispettabile, insieme a Mattarella, ed è apprezzato in tutto il mondo, sino a poco fa ha fatto il banchiere, dovevamo rifiutarlo e cambiarlo magari con Salvini o Renzi, due catastrofi viventi per il nostro Paese o con il bello guaglione Luigi Di Maio o con chi altro, o non dobbiamo piuttosto rallegrarci di avere un banchiere purtroppo neoliberista, ma per bene, mondialmente conosciuto e rispettato e che è stato anche allievo del Prof. Caffè che ha insegnato a tutti noi che si può essere liberali ma anche sociali e responsabili verso i ceti più deboli? E se è vero, come è vero, che in questo governo il Nord è sopra il Sud dove sono i leader del Sud che potevano impedirlo, facendosi guida di un movimento di liberazione del Sud dalla cultura dell’accattonaggio che da 60 anni viene immessa tenacemente nei popoli del Sud e strenuamente difesa dalla Svimez? Dove sono i grandi sindaci che dovrebbero far sentire la voce delle loro bellissime città a livello nazionale? Dove è il movimento federalista del Sud del quale il Paese e il Sud hanno tanta necessità? È anche vero che, in questo governo, i maschi sono sopra le donne. Ma non è questione di numero (questa è la cultura delle quote rosa, legittima ma non risolutiva, anzi pericolosa) bensì di intelligenza, preparazione, coraggio, dedizione, movimenti organizzati che le sostengono. Nel mondo della politica, dell’economia e della finanza mondiale le donne al comando sono in grande crescita e ad una velocità impressionante. Ma dove sono le nostre Merkel? Conosco le risposte sulla difficoltà di conciliare famiglia e lavoro, che in parte, condivido. Ma non sono le risposte decisive. La risposta decisiva è: mancanza di impegno e di coraggio sul fronte pubblico, come il successo di tante donne in altri campi dimostra. E se non sono per ora emerse da noi, possiamo farne carico a Draghi di una realtà che ha radici così profonde e lontane? O non dobbiamo piuttosto andare a fondo al problema ed interrogarci su cosa si può fare per diminuire questa indubbia grave e inaccettabile fragilità del nostro sistema?
Insomma, non possiamo pretendere che Draghi sia diverso da quello che è. Non possiamo chiedergli di non essere un banchiere, di non essere un liberale, di non essere un partitante, di addebitargli di non avere dietro di sé una massa di accattoni da alimentare con posti di lavoro immeritati e con tangenti, di non essere europeista e di non sostenere l’euro.
Draghi ha dimostrato in varie occasioni decisive, come nella sua formidabile e coraggiosa sfida ai falchi della Banca Centrale tedesca e contro la speculazione finanziaria internazionale che, rispondendo alla chiamata dei nanerottoli sovranisti europei, tentava di scardinare l’euro, di essere non solo un bravo banchiere ma un grande politico, anche se di una pasta ben diversa da quella dei nostri politici che ci avevano portato a pochi passi dalla catastrofe. Per ora possiamo accontentarci. Ma certamente non possiamo pensare che sia lui da solo a risanare tutte le piaghe bibliche italiane. Per fare questo ci vuole un grande impegno di tutta la parte responsabile degli italiani, in tutte le sue articolazioni, in tutti i suoi soggetti intermedi ed in primo luogo le organizzazioni dei partiti. Oltre a mettere in sicurezza il piano Next Generation, a porre su una base più seria il piano di vaccinazioni e, forse, ad avviare qualche importante riforma, il governo Draghi ci assicura un po’ di tempo, diciamo un paio d’anni, per sistemare un po’ la sgangherata politica italiana, Proprio la crisi del Covid-19 ci ha mostrato che, messo con le spalle al muro, il popolo italiano c’è, ha coraggio e disciplina, e capacità innovativa. È una nuova conferma di quanto scrive Vasco Pratolini in chiusura del suo romanzo più famoso, “Cronache di poveri amanti”: gli italiani non lo sanno ma la loro dote migliore è quella di essere capaci di ricominciare sempre da capo. Dobbiamo tutti, uomini e donne, impegnarci non per invocare nuovi privilegi ma per donare la nostra intelligenza e la nostra capacità di fare, la nostra volontà, il nostro amore per rifondare la politica del nostro Paese, per avere un Parlamento più degno, una democrazia più rispettabile, dei partiti seri, organizzati e fondamentalmente onesti come in Germania che deve essere il nostro punto di riferimento. Dobbiamo impegnarci subito in questa ricostruzione mentre Draghi sarà concentrato soprattutto alla ricostruzione economica.
Se sapremo usare questa tregua per una svolta decisiva nell’alzare la qualità della nostra politica, allora potremo, con convinzione, dire: grazie Mattarella, grazie Draghi, grazie Covid-19.
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[1] Carlo Cattaneo, Industria e morale, a cura di Marco Vitale, Scholè (Morcelliana), 2019
[2] Marco Vitale, Al di là del tunnel. Se non ora quando? Marco Serra Tarantola Editore, Brescia giugno 2020, pag. 36. Ora confermo quanto scrissi il 6 aprile 2020: “ Dunque: per fortuna: l’Europa esiste, l’imprenditoria italiana esiste ed è solida, i sanitari italiani esistono e sono coraggiosi e generosi, i cittadini italiani con la loro, in parte sorprendente, disciplina, con la loro generosità e con l’affascinante pratica della spesa sospesa esistono e sono stati apprezzati, la primavera è magnifica, domenica è Pasqua e io guardo al futuro con relativa fiducia, anche se so bene che le nostre enormi piaghe bibliche sono per ora ancora intatte e minacciose e che, con l’aggravamento delle conseguenze negative del coronavirus, ci aspettano anni di severi sacrifici e di grandi fatiche. Ma forse il popolo italiano si è risvegliato e ritrovato come comunità, e su questo si basa la mia relativa fiducia”.
[3] Marco Vitale, Al di là del tunnel. Se non ora quando? Marco Serra Tarantola Editore, Brescia giugno 2020, pagg.288