Interventi all'Assemblea Costitutiva di Servire l'Italia
Roma, 4 marzo 2017
Intervento di Giovanni Palladino
Nel mio intervento del 28 gennaio scorso vi dicevo che “ci sentiamo ancora seguiti e assistiti con passione da un ‘gigante’ del pensiero cattolico liberale e della cultura sturziana come Marco Vitale, che entro le prossime settimane dovrebbe confermarci il suo consenso ad accettare la presidenza dell’Associazione di cultura politica SERVIRE L’ITALIA.
Prima di accettare, Marco Vitale ci ha chiesto un momento di riflessione per i suoi notevoli impegni di lavoro. Spero che, nella nostra prossima riunione di sabato 4 marzo, Marco possa essere qui con noi come socio fondatore e assumere - con il convinto supporto di tutti noi - l’incarico di Presidente. Comunque egli ci tiene a precisare che, se anche dovesse rifiutare la nostra offerta, resterà un membro attivo della nostra ‘missione’ culturale, come lo è sempre stato sin dal lontano 1995, quando assunse la vice presidenza del Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo”.
Ebbene oggi abbiamo la grande soddisfazione di avere qui con noi Marco Vitale, che ha accettato la nostra offerta, ma nel ruolo di Presidente Onorario per i motivi che lui stesso vi dirà tra poco. Inutile dirti, caro Marco, che tutti noi ti siamo molto grati e che siamo davvero onorati di poterti avere a bordo. La tua preziosa presenza ci motiva a lavorare con maggiore impegno e senso di responsabilità in una attività - molto difficile - di promozione culturale per aprire poi le porte alla buona politica, di cui il Paese ha un gran bisogno da lungo tempo.
Siamo partiti con ITALIANI LIBERI E FORTI nel 2012. Dopo un anno abbiamo cambiato il nome in POPOLARI LIBERI E FORTI per dare una maggiore impronta sturziana alla nostra immagine. Oggi cambiamo di nuovo il nome con una impronta non solo sturziana, ma anche olivettiana con un obiettivo strategico che ci porti a declinare il verbo SERVI RE soprattutto a livello locale o “comunitario” - come ci ha insegnato Adriano Olivetti - per far sentire quanto più possibile “in loco” la nostra attività di promozione culturale e politica.
Il nostro obiettivo a livello locale è di affiancare all’impegnativo e “selettivo” verbo SERVIRE il nome di tanti comuni, cioè di quelle realtà vive tanto apprezzate e curate da Luigi Sturzo e Adriano Olivetti, due grandi italiani che - insieme ad Alcide De Gasperi e a Luigi Einaudi, nonché all’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa - abbiamo inserito come ispiratori della nostra attività negli articoli 2 e 3 dello Statuto di SERVIRE L’ITALIA.
Ho definito “selettivo” il verbo SERVIRE, perché può rappresentare un efficace “filtro” all’ingresso di chi desidera unirsi a noi. Tutti devono capire che qui si serve e non ci si serve, nel pieno rispetto di una solida “pietra d’angolo” posta alla base del pensiero e dell’azione di Sturzo, Einaudi, De Gasperi e Olivetti, quattro grandi italiani “liberi e forti”, che - come si legge nell’art. 2 del nostro Statuto – “concepirono l’attività politica e l’attività imprenditoriale come il più nobile impegno al servizio del bene comune per la realizzazione di una società equa e giusta”.
Utopistico questo obiettivo? Sembra di sì nel vedere come nell’odierna società cosiddetta civile, non solo in Italia, vi sia ancora poca equità e poca giustizia. Ma non è da uomini “liberi e forti” alzare bandiera bianca su questo obiettivo. Olivetti diceva:
“Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande”.
Forse qualcuno ci potrà criticare per avere inserito in uno Statuto del 2017 quattro personaggi nati nella seconda metà del 19° secolo e all’inizio del 20°. Ma credo che oggi, soprattutto per i giovani, sia molto utile conoscere l’esempio e le opere di questi grandi italiani, che purtroppo non hanno fatto scuola negli ultimi 50 anni. Ed essi ne erano tristemente coscienti, se Luigi Einaudi decise di intitolare “PREDICHE INUTILI” la raccolta di molti suoi articoli scritti per il Corriere della Sera negli anni 50 e se Sturzo, alla fine della sua vita, era convinto che i democristiani non lo avrebbero ascoltato e che avrebbero compiuto quei “mali passi” che lui cercò invano di non far compiere a loro.
Sono certo che Marco Vitale estenderebbe anche a Einaudi, De Gasperi e Olivetti il giudizio sulla figura del sacerdote di Caltagirone dato nella sua postfazione all’opuscolo SERVIRE NON SERVIRSI: Sturzo è oggi un vincente, dopo tante sconfitte subite in vita, ricorda Marco, “perché oggi ha ancora tanto da dire a noi e ai giovani che verranno”. La sfiducia nell’attuale classe politica italiana si può vincere solo fornendo alla nostra futura classe dirigente lo stile, lo spirito, la cultura e la competenza degli italiani “liberi e forti” di un tempo.
Sono cosciente che è molto difficile quanto abbiamo deciso di fare, soprattutto alla luce degli scarsi risultati realizzati sino ad oggi. E può sembrare sin troppo ambiziosa la promessa indicata alla base della pagina, che uscirà il prossimo 9 marzo sul quotidiano “Il Tempo” e in aprile sul “Quotidiano di Sicilia”:
“NON CREDI PIU’ NELLO SPIRITO DI SERVIZIO DI CHI FA POLITICA?
NOI CI IMPEGNAMO A FARTI CAMBIARE IDEA”.
E’ una pagina che unisce il logo di SERVIRE L’ITALIA alla copertina di SERVIRE NON SERVIRSI. E’ un impegno a tutta pagina che ci carica di una grande responsabilità. Come possiamo realizzare questo ambizioso obiettivo? Innanzitutto con la qualità delle tante persone che riusciremo a far salire a bordo con noi. Disponiamo di un prezioso patrimonio culturale. Dobbiamo essere dei bravi promotori di questo patrimonio, condividendolo innanzitutto con chi - come noi - è convinto che per avere un buon governo, a tutti i livelli, ci sia innanzitutto bisogno di buona cultura. Chi è dotato di questa qualità, di solito è anche una persona seria e competente, ossia è una persona naturalmente onesta. Ed è quindi un naturale “produttore” di bene comune.
E’ evidente che la tanta disonestà, che da tempo vediamo tra i cosiddetti “professionisti” della politica, derivi anche da una grande povertà o totale assenza di buona cultura. Noi dobbiamo contribuire a ridurre questa povertà per sostituirla con la “ricchezza” di cui noi siamo portatori.
Ma siamo anche convinti che questa nostra “ricchezza” resterà sterile - come lo è stata negli ultimi 5 anni - se non sarà capace di essere creatrice e promotrice di idee operative, ossia di proposte e progetti utili per il buon governo. Giampiero Cardillo, nel suo intervento, userà l’efficace espressione di CAPACITA’ PROGETTUALE PROFONDA. E’ un obiettivo sul quale ci stimolano da tempo sia Alessandro Corneli, responsabile del Comitato Tecnico-Scientifico, sia Fratel Donato Petti, responsabile della Formazione, una formazione che dovrà essere molto orientata al concreto, anche per sostenere la nostra battaglia a favore della fondamentale libertà di scelta educativa, la cui mancanza è tra le cause che hanno portato all’attuale drammatica emergenza educativa.
Importante per la nostra conquista di una maggiore visibilità e produttività sarà il lavoro di Andrea Aquilino, responsabile dell’Organizzazione e dei “Social Media”, aiutato da Gianfranco Zucchi e da Alessandro Corona, nonché il lavoro di Gian Paolo Vitale, responsabile della Comunicazione. Infine auguro ad Amedeo Ianniccari, responsabile Amministrativo e quindi nostro Tesoriere, di veder crescere e gestire - a fianco della nostra buona SOSTANZA culturale - anche maggiori SOSTANZE finanziarie. Ciò dipenderà, oltre che dall’efficacia del nostro lavoro, dalla validità delle alleanze che potremo fare nel prossimo futuro con persone e movimenti che la pensano come noi.
Concludo con un pensiero tratto dall’Enciclica di Paolo VI “Ecclesiam Suam” che alcuni anni fa Marco Vitale citò all’inizio di un suo intervento su “Crisi economica e attualità del pensiero cristiano e cattolico in campo sociale ed economico:
“Ma a ben considerare sembra che tutto resti ancora da fare;
il lavoro comincia oggi e non finisce mai”.
Intervento del Prof. Marco Vitale
Sono lieto di essere tra Voi oggi, anche se ho dovuto sacrificare l’incontro settimanale con i miei nipotini ai quali dedico, di norma, il sabato. Non è un sacrificio da poco, come i nonni presenti certamente capiranno. Ma non potevo deludere i carissimi e vecchi amici che mi hanno sollecitato ad essere presente. Anzi la loro stima e il loro affetto si è spinto sino a chiedermi di assumere la presidenza del movimento. Ma qui non ho potuto seguirli. Io sono di gran lunga il più vecchio tra voi e non sarebbe decente che assumessi questa responsabilità.
Altri più giovani e più meritevoli devono farlo, ma io sarò al Vostro fianco, per dare una mano, per quanto posso e per il tempo che mi è concesso. Non sono un seguace del giovanilismo. So che Mussolini e il fascismo furono un movimento giovanilista. Il loro inno era: giovinezza, giovinezza. Ed anche Hitler ed i nazisti erano tutti molto giovani. Renzi e la sua banda di quarantenni sono stati un disastro per l’Italia, secondo solo all’ancora maggiore disastro fatto dall’indecente vegliardo Berlusconi. So che seguendo Renzi ma anche la Gelmini non avremmo l’Edipo a Colono (che Sofocle scrisse a 89 anni), la Pietà Rondanini (Michelangelo, 85 anni), il Pittore e la sua fidanzata (Chagall, 95 anni), Donna e Uccello (Mirò, 89 anni), il Faust di Goethe (80 anni), il Falstaff (Verdi 80 anni) e che avremmo prudentemente pensionato Arturo Toscanini, Herbert von Karajan, Charlie Chaplin, Akiro Kurosawa, Ermanno Olmi, Rita Levi Montalcini, Renato Dulbecco, Albert Einstein, e tanti altri che hanno contribuito a elargire i loro stupendi doni ben oltre gli 80 anni. So che Adenauer iniziò la sua carriera come cancelliere a 70 anni. E so che Sturzo sino all’ultimo si spese per aiutare il Paese e tutti noi, con il suo pensiero, con il suo esempio, con il suo entusiasmo giovanile. Non è quindi questione di vecchi o di giovani. Ma di vecchi e di giovani positivi o negativi. E di vecchi e di giovani che si sappiano aiutare a vicenda, che sappiano collaborare ognuno portando e scambiando i suoi doni.
C’è una pagina di Plutarco, molto bella, nella quale l’autore si domanda se è giusto chiedere ad un politico vecchio di ritirarsi. La risposta di Plutarco è negativa. Come dice Plutarco, non possiamo chiedere a un vecchio attore di teatro di scendere dal palcoscenico sino a quando se la sente di calcare le scene, non possiamo chiedere a un vecchio politico di scendere dal palcoscenico politico sino a quando se la sente. Ma, precisa Plutarco, possiamo chiedergli di dedicarsi alle cose più adatte alla sua età e alla sua esperienza. In fondo Plutarco consigliava quello che consiglia un efficacissimo proverbio siciliano, che dice: “ A li picciotti li puma, a li vecchi lu libru”, ai giovani i pomi, ai vecchi i libri. Ai vecchi, dunque, si addice “lu libru”, come faceva Don Sturzo nella parte finale della sua vita. Ed è quello che, indegnamente. cerco anche io di fare.
Ognuno dunque nel proprio ruolo, ma tutti insieme, tutti uniti, giovani e vecchi, uomini e donne, nonni e nipoti, perché abbiamo bisogno del contributo di tutti. Siamo entrati in una di quelle fasi storiche estremamente minacciose. Sto rileggendo alcuni scritti sulla Germania del periodo 1930-1938 che ha visto la conquista del potere da parte dei nazisti, il riarmo della Germania, l’avvio verso la guerra mondiale la diffusione dell’odio, del razzismo, della xenofobia, dei muri, dei reticolati, dei campi di concentramento.
La storia non si ripete mai uguale. Ma le analogie tra quegli anni e i nostri anni sono tante e impressionanti. Quello che fa a me più impressione è la superficialità e la spensieratezza con le quali i cittadini e le classi dirigenti di allora assistettero al montare del pericolo, senza rendersene conto o illudendosi di strumentalizzare i Mussolini e gli Hitler e l’odio e la violenza che essi diffondevano, a favore dei propri affari o per contrastare i marxisti.
Tra chi si inchinò alla montante violenza morale e fisica dei totalitarismi ed, in certi momenti, ne divenne sostenitrice e complice, vi fu certamente la Chiesa ufficiale, sia cattolica che protestante. Pochi uomini di Chiesa si levarono, a titolo personale, contro l’odio e la xenofobia dei totalitarismi. Tra questi da noi Don Sturzo e, in Germania, il giovanissimo pastore luterano Dietrich Bonhoeffer. Tante cose univano questi due cristiani, pur così diversi tra loro. Li univa il coraggio e il senso di responsabilità e del dovere cristiano di testimonianza. Li univa la convinzione che non è vero che i sacerdoti devono solo pensare alla religione e alla spiritualità religiosa, ma essi, anzi, devono battersi, come tutti i cristiani, per una società più giusta, più responsabile, più umana, più testimone dei valori cristiani, qui ed ora. Per questo entrambi pagarono duramente la loro testimonianza, Don Sturzo con il lungo esilio che si protrasse ben oltre il suo rientro in Italia quasi sino ai nostri giorni e Bonhoeffer con la vita.
Sturzo e Bonhoeffer vivevano ed operavano in un mondo non molto diverso da quello dei nostri giorni, dominato dalla stessa spensieratezza dei nostri predecessori degli anni trenta. In America, il paese guida dell’occidente, la democrazia è in agonia, trasformata come è, da tempo, in una plutocrazia egoista, truffaldina e violenta. Trump non è una sorpresa ma è l’epilogo tragico di una involuzione in atto da alcuni decenni. E’, in fondo, null’altro che la Clinton alla quale è stata strappata la maschera. L’Europa, continente di bottegai, si sta frantumando e suicidando, rinnegando la sua identità. La situazione è così cupa che sono la Russia e la Cina ad ergersi come paladine dei valori della libertà, della pace, dei liberi commerci. Le emigrazioni, fenomeno certo difficile da gestire ma gestibile, fa sì che tanti italiani di oggi rivolgano agli immigrati stranieri di oggi, le stesse accuse che il candidato al governo del Mississippi Jeff Truly rivolgeva, nel 1910, agli emigrati italiani: “L’immigrazione italiana non risolve il problema del lavoro: gli italiani sono una minaccia e un pericolo per la nostra supremazia razziale, industriale e commerciale”. Sembra di sentire Salvini. Ma “gli italiani di Merica” non erano una razza inferiore. Erano grandi, coraggiosi lavoratori e risparmiatori come testimonia Jacob Riis, un cronista del New York Times che, dopo aver denunciato le condizioni disumane nelle quali vivevano gli immigrati italiani nei quartieri ghetti di New York, afferma “A dispetto di tutte le loro difficoltà questi meridionali avevano virtù immense e fondamentali. Erano gli immigrati più poveri della città. Ma solo una minima parte si rivolgeva all’assistenza comunale. Lavoravano e risparmiavano come formiche mandavano in Italia vaglia postali per cifre sbalorditive anche se i più guadagnavano solo un dollaro al giorno”. E nonostante una diversa fama creata da minoranze violente, secondo il capo della polizia di New York del tempo: “ di tutte, l’emigrazione italiana è quella che dà il minor contingente agli assassini, ai ladri, ai facinorosi di ogni specie”.
Senza questi immigrati l’America non sarebbe quello che è. E senza questi emigranti non sarebbe quella che è l’Italia che, sino al 1950 circa, ha trovato nelle rimesse degli emigrati uno dei suoi pilastri economici fondamentali. E senza questi emigrati il mondo non sarebbe quello che è perché ovunque il lavoro italiano ha dato buoni ed importanti frutti.
Al museo storico cittadino di Lucerna, c’è un toccante piccolo angolo dedicato alla presenza degli immigrati italiani a Lucerna. Senza i muratori italiani, dice un breve commento in tedesco (dove l’unica parola italiana è: muratori), Lucerna non avrebbe potuto svilupparsi come si è sviluppata. E la nota illustra l’isolamento iniziale dei lavoratori italiani, superato gradualmente con il lavoro e con le prime attività sociali, come la costituzione di un cicloclub fondato nel 1907 da un gruppo di giovani italiani. Storie grandi e storie minime, come questa, ma sempre significative e commoventi.
Intanto la corsa agli armamenti, cioè ai preparativi bellici, aumenta parallelamente all’aumento dell’odio, della xenofobia, dei muri, dei reticolati. Il mondo non è mai stato come ora così intrinsecamente fascista dagli anni trenta del novecento. E, come è stato ricordato da papa Francesco, ci sono ogni anno più martiri cristiani oggi che ai tempi delle persecuzioni romane. Mi sono concentrato sul quadro internazionale per non rattristarci ancora di più parlando dell’Italia. Pochi giorni fa Piercamillo Davigo ha detto: “L’Italia è un paese corrotto a livelli diversi, finalità e modalità diverse. E’ un Paese che sta morendo. C’è sfiducia, la gente non va più a votare, espatria”. Io non vedo un paese così morente come dice Davigo ma vedo un paese pieno di energie male indirizzate da cattivi maestri.
Di fronte a questo quadro desolante ma purtroppo realista, si è presi dallo sgomento. Cosa posso fare io, piccola insignificante formichina di fronte a queste forze gigantesche che stanno portando il mondo verso una nuova catastrofe? Popper dice: forse quello che possiamo fare è molto poco, ma quel poco che possiamo fare, dobbiamo farlo. Noi, cristiani e aspiranti cristiani, abbiamo qualche ragione in più per non sfuggire alla chiamata.
Prima di tutto la speranza cristiana che, per un cristiano, non è un’opzione ma un dovere, un dovere da coltivare sino all’ultimo come ci hanno insegnato e testimoniato Sturzo e Bonhoeffer, “sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (prima lettera di Pietro 3,15).
In secondo luogo il fatto che nello sfacelo di tante teorie, ideologie, modelli, l’unico pensiero che sta saldo e che ci offre risposte e indirizzi di lavoro convincenti, anche sul piano socio-economico, è proprio il pensiero cristiano ,anche nella forma della Dottrina Sociale della Chiesa. In terzo luogo come si spiega la contraddizione di un mondo che è guidato da politiche economiche che nulla hanno in comune con il pensiero cristiano, dall’aumento delle differenze sociali, da politiche dell’esclusione, dall’odio e dagli egoismi, ma che, al contempo, riconosce come unico vero leader mondiale proprio il pontefice della Chiesa cattolica, papa Francesco, una persona che si trova in una posizione di totale opposizione a tutto il pensiero dominante. Non è facile spiegare questa contraddizione. Al di là del suo eccezionale carisma personale, la spiegazione non può trovarsi che nella valenza profetica del pensiero che esprime.
La verità è che in fondo siamo tutti consapevoli, anche se non osiamo dirlo a voce alta, che se non cambiamo rotta il disastro sta di fronte a noi. Ma un cambio di marcia ha bisogno dell’apporto di tutti, di un gigante come Francesco che può muovere le montagne e di ogni formichina che, a fatica, riesce a trascinare un granello di sabbia. Quello che conta è la correttezza della direzione di marcia e la genuinità dell’impegno. Anni fa dissi: cerchiamo di non essere come un’associazione di reduci di Don Sturzo, ma semplicemente suoi seguaci. Intendevo dire che non dovevamo passare il tempo a spiegare come è stato grande Don Sturzo, ma ad impegnarci sui problemi del nostro tempo, secondo i suoi principi e il suo approccio, ma con soluzioni innovative, come avrebbe fatto lui. Dobbiamo elaborare progetti, proposte, sfide, suscitar energie, stringere alleanze, imparare a parlare con i giovani, anche con quelli che non sanno chi era Don Sturzo ma sono ansiosi di capire quali spazi reali abbia nel nostro presente e nel nostro futuro il pensiero cristiano.
Dare concretezza a tutto questo è il nostro compito se ne siamo capaci. Come scrive molto bene Alessandro Corneli: “Bisogna uscire dalle affermazioni generali e studiare soluzioni concrete. La concretezza è la sola risposta dal basso che possa essere credibile”. Ma non è facile.
Intervento di Giampiero Cardillo
Carissimi amici,
la dotta e splendida introduzione del prof. Marco Vitale, che abbiamo avuto anche la fortuna di leggere in anticipo, ci ha dato modo di riflettere molto, in particolare su alcuni temi forti che ha suggerito per il nascente nostro sodalizio.
Gli uomini, come le idee, invecchiando migliorano come il vino di qualità. Ma solo se non sono travolti da ciò che cambia col tempo nella bottiglia dove vivono. Evolvono, si affinano e acquistano la forza e i profumi del presente, risultato indispensabile per essere attuali e utili all’oggi e al domani di tutti.
Marco Vitale si è distinto per far onore al suo cognome: essere vivo, vivace e vitale per essere utile nel tempo che passa. Vitale, nomen omen, senza soluzioni di continuità, sommando esperienze di successo alla voglia di fare bene il bene, di esserci senza risparmiare forze e determinazione, senza dubbi, coni d’ombra, perplessità e arretramenti circa la necessità di essere protagonista di tutto il suo tempo.
Con ciò il Presidente Vitale ci suggerisce di essere concretamente attuali e tempestivi, mediante la forza che possono esprimere i progetti concreti degli uomini anziani, oramai più adatti al “libro”, per dare anche ai più giovani non solo argomenti e parole d’ordine, ma “pomi” ricchi del succo della fattibilità, del rigore scientifico, della concreta conoscenza e della valutazione dei mezzi e degli uomini necessari per eseguire ciò che si è progettato.
Se anche ai più giovani si insegna o si tollera che si preparino o si propongano per essere Classe Dirigente enumerando solo i ”titoli” di temi tutti ancora da svolgere (lavoro, immigrazione, sicurezza, sviluppo, euro, Europa, edilizia, agricoltura, riforme…etc.) non si fa solo il loro male, ma il male di tutti: il male comune.
La circostanza malefica peggiora se, accanto ai temi enunciati e mai svolti, si accompagnano nomi e dottrine illustri, che perdono forza cedendo il proprio “marchio” all’imperfezione, alla superficialità, all’avventura, all’improvvisazione, allo slogan vuoto.
“Sotto l’elenco niente”: è la morte della politica, dell’amministrazione, della democrazia, della giustizia.
Un esempio per chiarire, ove ce ne fosse bisogno.
L’edilizia come “primo chiodo” della ferratella per scalare la vetta dello sviluppo.
In troppi “Programmi” di movimenti e partiti l’edilizia compare, ma si palesa come parola vuota, profumata di niente, mai sudata per perforarne la dura scorza superficiale, pronta a scomparire nella nebbia del malaffare istituzionale, privatizzato o socializzato in consorterie criminali. “Chiodi”, “punti di forza programmatici” che finiscono infissi anche nei tavolacci delle galere, a volte, o come carta da appendere, come cronache pre-giudiziali, ai muri ormai stanchi delle gogne mediatiche. Cosa bisogna sapere e saper fare per non proporre aria fritta, buona solo per i gonzi elettori ormai grillizzati, con nulla da perdere e niente da guadagnare? Cosa occorre perché sia palesato il “guadagno” popolare nell’adottare la proposta riguardante l’edilizia, che abbiamo scelto come esempio, che vorremmo confezionare? Cosa serve perché si abbia la forza di convincere specialmente chi ha perso (o non ha mai avuto) fiducia in una Comunità che condivida la responsabilità concreta di fare, sapendo bene cosa e come farlo?
Bisogna, anzitutto, conoscere sull’argomento “edilizia”, scelto come esemplare, il dettaglio della “forza disponibile”nello specifico comparto industriale edilizio e para-edilizio di oggi.
Conoscere gli appaltatori, che sono cosa molto diversa dai costruttori, anzitutto.
Di questi ultimi occorre conoscere il modus operandi tipico: i loro rapporti con il mondo finanziario e con le Istituzioni dedicate (un mondo sconosciuto ai più), il possesso di qualità tecniche innovative, la loro dimensione locale, nazionale e internazionale.
Per conoscere il mondo degli appaltatori occorre conoscere il mondo dell’Appalto pubblico, in tutte le sue declinazioni: dalla legislazione, 220 articoli, con 164 errori e qualche centinaio di pagine di regole-soft e di decreti correttivi in abbonamento annuale ritualizzato, tanto che la norma sembra non trovare mai un centro di gravità stabile almeno per qualche mese.
Poi bisogna valutare la concreta forza progettuale interna alle PA, la competenza amministrativa delle PA che seguono il progetto, dalla culla al collaudo.
Conoscere, poi, perfettamente il mercato per individuarne il punto critico dove fondare la costruzione di uno sviluppo territoriale complesso che oggi latita in Italia.
Si può partire dall’efficientamento energetico, ad esempio. Come suggerisce Nomisma di Prodi.
Si tratta di apprezzarne la dimensione di “grande progetto” complesso, che è la sfida non solo tecnica per chi abbia competenze di proposta, ma anche di ingegneria Istituzionale, tipica doppia competenza necessaria per chi si candida seriamente a governare per il bene comune.
Questo non significa desiderare “solo ingegneri al potere”, anche se una mezza dozzina di ingeneri come Olivetti non mi spiacerebbe governassero processi industriali e Istituzioni territoriali, nazionali e sovranazionali.
Significa, però, che la formazione di una nuova classe dirigente, fonte e culmine del nostro statuto, deve trovare persone pronte a soffrire con gioia e soddisfazione un impegno lungo e faticoso, tipico dell’attività di collegi universitari di merito, che aggiungono alla preparazione accademica momenti di integrazione con i saperi e le buone pratiche di validità globale, per chi voglia governare o solo agire all’interno o all’esterno di Istituzioni modernizzate, che oggi non abbiamo.
Quello che propone Nomisma-Prodi, ad esempio, è un “grande progetto”. Ma Nomisma è una azienda famigliare che si serve della propria competenza tecnica, affiancata da quella influente politico-istituzionale, a favore degli stakeholder finanziatori e dei propri conti di “impresa”. Impresa che si fa anche “politica”, ma portatrice di interessi non sempre coincidenti con il bene comune. Un metodo anti-olivettiano, perciò.
Quindi non basta neppure avere la forza di formare dei “progettisti” in vari campi del sapere e della pratica sapiente. Occorre impegnarsi per disegnare anche le condizioni per allargare orizzontalmente ogni punto focale progettuale pre-determinato, in modo tale, ad esempio, che dall’efficientamento del patrimonio pubblico si possa muovere da una parte verso il recupero urbano ed extra urbano della città e della campagna privata, dall’altro verso il recupero di territori perduti per dissesto o per inquinamento massivo. Così è solo così, per default rispetto al punto di partenza, si raggiunge l’efficientamento anche di un vasto complesso territoriale e sociale, per non parlare del recupero al bello, al salutare e al conveniente (ciò implica la individuazione e la cooptazione progressiva nel progetto dei necessari stakeholder).
Per far questo non serve solo competenza e innovazione progettuale tecnica multidisciplinare, necessariamente di natura olistica, ma servono anche i luoghi nuovi del coagulo decisionale, normalmente sussidiari di un mondo istituzionale, che oggi non esistono e che bisogna creare ogni volta come coraggiosa innovazione politico-istituzionale, a partire dal concreto uso dell’art.118 della Costituzione..
Ma non basta ancora.
Occorre che la capacità progettuale profonda, coma la chiamava il mio maestro e pianificatore urbanista Gabriele Scimemi, si accompagni ad una coscienza complessa dei fini che abbia solide radici. Quelle che oggi, purtroppo, danno frutti minori, quasi invisibili.
Sono radici troppo nascoste e troppo piccole perché inesplorate a fondo, perché non organizzate per essere emblematiche e avvincenti (ricordo a tutti che le carte personali di don Sturzo dal ‘47 al ’59 sono tragicamente ancora chiuse in grosse buste sigillate nelle cantine del “suo” Istituto).
Infatti lo sviluppo economico e sociale, generabile dal buon progetto di un’ottima classe dirigente neo-formata o aggregata a noi, ove esistente o in nuce, non può reggersi sul nulla, perché sarebbe velleitaria, inutile. Non troverebbe persone disposte a impegnarsi per essere faticosamente “diversamente preparati”, rispetto allo standard professionale-istituzionale che oggi ci appare inutilizzabile per il bene comune.
Occorre sprofondare nella storia e saper risalire ai tempi nostri per riconoscere e attualizzare quello che oggi rimane di concreto, ma nascosto, dell’esempio di Sturzo, Olivetti, De Gasperi, Adenauer, Monnet, Vanoni, Einaudi e pochi, grandi, altri. Grazie a persone come Marco Vitale, Giovanni Palladino, Eugenio Guccione, Gaspare Sturzo, Alessandro Corneli, Dario Velo, Fratel Donato Petti, buona parte di queste realtà di ieri trovano in queste persone un fiore nato caparbiamente da quelle radici. Grazie a loro, in particolare a Marco Vitale, grandi progettisti profondi di tipo olivettiano, ad esempio, ci sono famigliari: Loccioni, Cucinelli, Bracalente, fra i più a noi noti, che trovano la “protezione” popolare sul territorio ove operano e, se non la protezione, almeno la acquiescenza anche istituzionale.
Riassumo il ragionamento fin qui sottinteso o sviluppato:
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Il “partito sturziano” non ha avuto il successo politico- popolare ipotizzato: questa è una verità amara, ma ormai storica;
L’immensa generosità di Gaspare Sturzo e di Giovanni Palladino, l’impegno concreto di molti di voi, il contributo da tutti noi profuso in più occasioni, non ci esime da una autocritica severa e da un quesito che sottostà ai nostri discorsi.
Siamo convinti tutti che non siano state le idee o la volontà a fallire?
Credo di sì.
Anche se avremmo potuto forse fare anche di più e meglio.
È mancata, infatti, la confezione di almeno due o tre convincenti progetti concreti e “profondi” legati a quelle idee, compreso un progetto organizzativo del partito adeguatamente finanziato e finanziabile.
Il quesito che emerge, sotteso a questa verità, è questo: “ ma serve davvero essere tanto concreti, competenti e costruttivi per vincere le elezioni, per guadagnare il consenso popolare, l’attenzione dei media?”
Se ci guardiamo attorno, indietro e avanti a noi, la risposta sconsolata che ci diamo è un bel NO: non sembra sia così importante sapere e saper fare per avere successo popolare.
Ben altre “concretezze” hanno raccolto voti! Ma con risultati disastrosi.
Noi, però, dobbiamo comunque ammettere: non abbiamo provato davvero fino in fondo a verificare che questo “NO” non abbia alternative. Quei due o tre progetti concreti ben fatti non li abbiamo mai redatti! Per mille ragioni, ma resta il fatto che non abbiamo provato a farlo e non abbiamo tentato di far parlare di noi per averli fatti. Li abbiamo magari anche noi elencati per titoli, senza avere avuto le “altre risorse persuasive”di cui godono gli “altri” che avremmo voluto combattere
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La mancata redazione di progetti concreti discendenti dalle idee sturziane e olivettiane attualizzate, ha impedito il coagularsi attorno a noi, nella società e nelle istituzioni, di altre forze compatibili con quanto annunciavamo di voler e saper fare. Non abbiamo ottenuto la “ massa critica” necessaria a contaminare un elettorato, un’opinione pubblica sufficientemente vasta per poter “occupare” le Istituzioni, al fine di “servire” sapendo cosa e come “fare bene il bene comune”;
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la redazione di “progetti profondi”, che vogliano aggregare portatori dei medesimi interessi da noi rappresentati, richiede finanziamenti, organizzazione e alleanze orizzontali che la forma “partito” o “movimento politico” non può ottenere, come non ha ottenuto finora) in modo sufficiente: i partiti nascono per dividere, per segnare confini.
Un “movimento culturale” può ottenere più facilmente presupposti e risultati aggregativi migliori e maggiori, avendo migliore agilità e libertà di muoversi;;
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la formazione di una nuova classe dirigente, primo obiettivo dichiarato del nostro futuro impegno, si otterrà meglio “progettando” anche assieme ad altri “compagni di strada”, o almeno condividendo metodi e risultati anche di progetti altrui, anche se sono ad uno stato avanzato;
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quello che intendiamo impegnarci da oggi a fare è, necessariamente e ragionevolmente, cosa che riguarda il lungo periodo.
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Ciò non toglie che, nell’ immediato, possiamo, come prevede lo Statuto, contribuire fattivamente a fornire, anche a selezionate nuove forze politiche impegnate nelle prossime campagne elettorali, strumenti di lotta politica basati sul principio della proposta concreta e approfondita. Questo servirà a far ottenere qualche visibilità al nostro “marchio” di servizio e al pronto impiego istituzionale degli uomini già “formati” di cui disponiamo. Essere anche nelle Istituzioni, infatti, aiuterà il nostro impegno futuro.
Perciò non saremo una nuova o vecchia accademia, non saremo un piccolo cenacolo di presunti sapienti, perché dovremo lavorare per ottenere anche il più largo consenso pubblico possibile, sia verso i nostri progetti concreti che sapremo sfornare, sia verso il nostro metodo sturziano e olivettiano, che avremo aggiornato e adoperato.
Il nostro, perciò, non vuole essere solo un luogo di studio e di progetto, ma di “progetto operativo”, ove si progetti anche il più favorevole contesto istituzionale in grado di gestirne la effettiva messa in opera.
Di quanto faremo dovremmo forse tenere aggiornati e accurati diari pubblici sui social network, da usare in maniera massiva. Occorrono in questo decisivo lavoro molte risorse, competenza e molta fatica.
Ciò consentirà di aumentare le possibilità di reclutamento e sviluppo della forza formatrice, dei talenti progettuali e dei possibili compagni di strada che volessero unire le loro forze alle nostre.
Non vorrei avervi forviato con la concretezza esemplare del particolare “chiodo” programmatico rappresentato dall’edilizia che ho citato prima, solo perché molto presente nei propositi di alcuni possibili soggetti di nostro interesse del passato recente e del presente.
Anche temi meno “solidi” dell’edilizia hanno la medesima necessità di progetto concretamente complesso. La sicurezza, ad esempio, declinata nei suoi sottosistemi: immigrazione massiva, criminalità organizzata e controllo del territorio, funzionamento della giustizia civile, penale e amministrativa, ordine pubblico, decoro pubblico, comportamenti deviati personali e di gruppo, uso generalizzato di sostanze stupefacenti, educazione pubblica, comportamenti civili, uso sociale della sussidiarietà per la regolata convivenza.
Non esistono “ chiodi” di programma che possano avere una declinazione semplice.
La complessità è la cifra che distingue il fumo dall’arrosto.
La complessità è la garanzia che si passi dalla protesta inane, alla proposta che non può fallire.
E potremmo continuare con Agricoltura, Reindustrializzazione (in epoca di Industria 4.0), moralizzazione del mondo finanziario, Ricerca organizzata in grandi centri, politiche europee, libertà di insegnamento, etc. Affinché ognuno dei temi possa ricomprendere ciò che veramente preoccupa gli Italiani e non solo italiani: la disoccupazione e la sottoccupazione crescente.
La povertà diffusa sempre più è in cima alle paure di tutti, infatti.
La profondità dei nostri “progetti esemplari” deve arrivare al punto da poter essere diffusi come soluzione alle paure altrettanto profonde dei “cittadini”.
Non siamo molti, forse non siamo sufficienti neanche per sviluppare bene anche uno solo dei temi e per fare di noi un esempio della nuova politica della concretezza.
Ma abbiamo i numeri e le personalità che possono trovare alleati e finanziatori interessati al futuro del bene comune per progettare e proporre insieme.
Tentiamo una “sortita dal fondo del castello”, come dico in epigrafe, dove siamo rifugiati a difendere l’idea di poter fare meglio degli altri.
Meglio e diversamente dagli altri, perché della sapienza, della competenza e del saper fare abbiamo una idea cristiana, di servizio alla Verità, che non è come per i pagani e i pelagiani chiusa nei libri e nei libri mastri dell’economia (politica), ma è una Persona di cui ci sentiamo discepoli.
J.L. Borges ha detto che in tutta la storia della letteratura si trovano solo due eroi: Ulisse e Gesù, l'uomo che cerca se stesso e la propria perfezione e l'uomo che si sacrifica per la salvezza degli altri. Dante mette Ulisse all'inferno, perché la sua ricerca di sapienza è il prototipo della ricerca senza Dio, mossa non dall'amore, ma dalla volontà di affermarsi.
“Servire e non servirsi”, come ammoniva don Sturzo è la Verità evangelica.
Sremo competenti, efficienti ed efficaci, non per orgoglio, ma per amore!
Tentiamo una sortita ben organizzata dal “fondo del castello” dove ci siamo rifugiati a difendere l’idea di poter fare meglio degli altri.
Lo faremo sturzianamente.
Non resteremo nel castello, che nessuno neanche assedia più, perché ci credono ormai incapaci di vitalità.
Approfittiamone!
Sorprendiamoli!
Grazie della vostra paziente attenzione.